REPUBBLICA ITALIANA

1 MARCHI e restyling nel tempo

Nella scheda per il referendum del 1946 la Repubblica era stata rappresentata da due fronde di alloro e quercia con al centro la testa dell’Italia turrita e sullo sfondo il profilo della penisola. Con la nascita della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri nominerà una Commissione incaricata di studiare il nuovo emblema dello Stato. Nel 1946 decise di bandire un concorso fra gli artisti italiani riservandosi di scegliere i cinque migliori che sarebbero stati premiati con un compenso di 10.000 lire per ciascuno; salvo poi ad essere invitati a presentare un nuovo elaborato per la scelta definitiva. Nel bando di concorso si raccomandava che «l’emblema stesso debba innanzi tutto rispondere a criteri di semplicità, dovendo essere facilmente intellegibile e facilmente attuabile sia come sigillo, sia come filigrana, sia come stemma dello Stato. Pertanto sono da escludere i simboli riferentesi ai singoli partititi politici, dovendo la concezione dell’emblema ispirarsi all’unità e alla concordia della Patria. È stato quindi deciso di introdurre tra i simboli la stella d’Italia, escludendo le personificazioni allegoriche e traendo ispirazione dal senso della terra e dei comuni».

La stella è uno degli oggetti più antichi del nostro patrimonio iconografico ed è sempre stata associata alla personificazione dell’Italia sul cui capo essa splende raggiante; così fu rappresentata nell’iconografia del Risorgimento fino al 1890 nel famoso “stellone” del Regno unitario. Al concorso risposero 346 concorrenti con 637 bozzetti; i risultati furono giudicati deludenti. Arrivarono le più svariate, e spesso bizzarre, rappresentazioni simboliche: da danze di delfini contornati da spighe a scudi araldici turriti, da carrocci medievali con trombe della vittoria a timoni, da berretti frigi a incudini e ciminiere. Pertanto la Commissione decise di fissare un tema e di proporne lo svolgimento in modo puntuale affidandosi ad un piccolo gruppo di artisti che il concorso aveva messo in luce; ne derivò una progressiva riduzione della sfera di autonomia e l’irrigidimento degli elementi iconografici.

La Commissione selezionò dapprima 25 autori, poi ne scelse 5 (Alfredo Lalia, Cafiero Luperini, Publio Morbiducci, Paolo Paschetto, Virgilio Retrosi) ai quali impose i seguenti criteri: «1) come elemento principale deve figurare nel centro dello stemma una cinta turrita con porta aperta che abbia forma di corona, ma apparenza anche di nobile edificio, e sia quindi insieme segno di sovranità e immagine viva delle attitudini costruttive e delle tradizioni della civiltà di cui deve esser simbolo. Per la rappresentazione di tale elemento – pur lasciando com’è ovvio, all’artefice la massima libertà – sarà opportuno non trascurare le norme del Regolamento tecnico-araldico: facendo possibilmente in modo che l’intera cinta e le torri siano tutte visibili. 2) Lo stemma dovrà essere completato in basso (in punta) dalla figurazione del mare, in omaggio alla posizione e al destino naturale della penisola italiana e, in alto (nel capo), da una stella raggiante di cinque punte. 3) Si potrà anche studiare, se, e in qual modo introdurre nello stemma le due parole che rappresentarono il programma del Risorgimento che, come tali, sono iscritte sul fronte del Vittoriano, ma che non sono oggi di minore attualità: Unità, Libertà».

Nel 1947 la Commissione prese visione dei nuovi disegni prodotti dai cinque artisti e scelse uno dei tre disegni di Paolo Paschetto; professore di ornato all’istituto di Belle Arti di Roma dal 1914 al 1948, fu artista polivalente passando dalla xilografia alla grafica, dall’olio all’affresco, dalla pittura religiosa al paesaggio. Fino all’approvazione definitiva del bozzetto, le prescrizioni diventarono minuziose: la scritta “Repubblica Italiana” dentro e fuori dell’emblema, prima richiesta, fu poi ritenuta superflua; i raggi dovevano partire direttamente dalla stella; il mare doveva occupare uno spazio limitato a tre strisce staccate e più robuste; occorreva variare la forma e diminuire la grandezza delle targhette sulle quali erano riportate le parole “Unità e Libertà”; la prospettiva della corona turrita doveva essere più sollevata. Tali modifiche furono realizzate dall’artista Paolo Paschetto in stretto contatto con Cambellotti, membro della Commissione tra i più influenti. L’emblema prescelto, esposto con i bozzetti degli altri 5 finalisti in una mostra appositamente organizzata presso l’Associazione Artistica Internazionale in via Margutta a Roma, non risultò convincente né per la stampa (uno dei commenti più vivaci lo definì “tinozza”) né per la stessa Presidenza del Consiglio.

Nel 1948 si bandì un nuovo concorso per altri bozzetti; pervennero 197 disegni opera di 96 artisti che, secondo la Commissione, «possono raggrupparsi, quanto all’ispirazione, in sei gruppi, comprendenti lo sviluppo dei seguenti concetti: api, scudo con corona turrita, ruota dentata con stella, aquila, torre con faro, stella».

La Commissione, selezionati dapprima 12 disegni ritenuti migliori, scelse all’unanimità quello ideato da Paolo Paschetto, ossia dallo stesso artista che era stato prescelto dalla precedente Commissione. Una curiosità: inizialmente, per l’Ufficio araldico i due rami dovevano essere di alloro e quercia perché possedevano un significato simbolico di gloria eterna. All’ultimo momento, però, nello stemma l’alloro fu sostituito con l’ulivo per comunicare il senso della pace ma, per qualcuno, poteva avere un significato funereo di pace “eterna”.

L’Assemblea Costituente approvò lo stemma, così definito: composto di una stella a cinque raggi di bianco, bordata di rosso, accollata agli assi di una ruota di acciaio dentata, tra due rami di olivo e di quercia, legati da un nastro di rosso, con la scritta di bianco in carattere capitale “Repubblica Italiana”. L’emblema della Repubblica Italiana per alcuni ha l’aplomb dei simboli dei grandi stati mentre per molti grafici è semplicemente un segno di difficile applicazione: non ha il dono della sintesi, ha problemi di leggibilità nelle riduzioni, nessun coordinamento, ha bisogno di un radicale ridisegno e la conferma viene dai tentativi fin qui falliti di sostituirlo o modificarlo.

Nel 1987 si tentò di innovare il simbolo dello Stato lanciando il concorso con premio di dieci milioni di lire. Dei 239 progetti pervenuti 114 misero in grande imbarazzo la qualificata giuria di cui facevano parte anche Portoghesi, Testa, Eco: stivali, vele, omini tricolori, valli svizzere e valli valdesi, un repertorio stereotipato e prevedibile che scatenò la facile ironia dei giornalisti. Nessuno fu scelto e rimase il vecchio emblema di Paolo Paschetto.