COME CAMBIANO I MARCHI

METAMORFOSI DI 60 MARCHI ITALIANI

Il libro è composto da 224 pagine a colori con copertina plastificata opaca. La trattazione dei 60 casi, disposti in ordine alfabetico, segue la logica della cronologia nonché della presentazione dei marchi con, ove possibile, una o più applicazioni su pagine pubblicitarie, manifesti o tavole del manuale di identità visiva. I marchi riportano la sola data di creazione mentre le applicazioni riportano una didascalia con data; le date incerte sono precedute da un segno grafico (~).

I marchi possono invecchiare?

Mario Piazza

(…) Per il grafico disegnare un’identità è un progetto ambìto. E il cuore di una identità per un qualsiasi soggetto che la commissiona (dal gruppo rock alla multinazionale) è il marchio. La particella più piccola, ma fino a qualche tempo fa, la più potente dispensatrice di personalità e soggettività. E quindi quando il grafico si cimenta con la progettazione di questo speciale artefatto dà il massimo, perché vede in quel progetto la rappresentazione visiva di un’entità, di un corpo che si esprime e si manifesta. È in buona sostanza un atto fortemente “creativo”. E come tutti gli atti creativi si vorrebbe forte e propulsivo, capace di crescere e di durare nel tempo. Ma, anche guardando questo libro, ci viene da chiederci: i marchi possono invecchiare? Per rispondere a questo interrogativo bisogna capire come si costruisce un marchio e quali sono le componenti passibili dei segni del tempo. E se i “segni del tempo” non possano essere anche un valore aggiunto. (…)

Sull'evoluzione del marchio d'impresa

Daniele Baroni

(…) Il marchio è una firma che si esplica sotto forma di emblema. Gli esempi nella storia sono infiniti, basti pensare ai primi significativi esempi di «marca editoriale» della fine del Quattrocento, dal segno come citazione araldica di Johann Fust e Peter Schöffer, o di devozione, con i riferimenti alla croce e agli attributi cosmologici come nel marchio di Nicolas Jenson a Venezia. Il marchio moderno trova la sua genesi in epoca protoindustriale, ma secondo la nostra attuale concezione del design grafico, va ricordato che a cavallo di secolo fra Otto e Novecento, l’Italia in questo campo non è certo all’avanguardia. L’unità del Paese in quel periodo è ancora cosa recente, con un’economia d’impianto prevalentemente agricola. Inoltre, da noi non si sono vissute esperienze come quella inglese delle Arts and Crafts, nonostante vengano messe in discussione le produzioni industriali, oppure, non si sono formati movimenti come il Werkbund in Germania. (…)

Il marchio dello stile

Carlo Branzaglia

(…) Il settore dell’identità istituzionale è uno dei grandi motori, in senso economico oltre che progettuale, del graphic design. La macchina della corporate identity nasce negli anni ’50 quasi in risposta all’affermarsi di un mercato pubblicitario che sposta l’interesse sul prodotto, anziché sull’impresa. La logica dell’immagine coordinata (che è lo strumento tecnico della corporate) porta alla necessità di applicare il marchio ad una serie di supporti sempre più estesa e variegata. Fenomeno ben visibile oggi, che influenza radicalmente l’impostazione progettuale del marchio stesso nel momento in cui esso si trova ad essere applicato dall’archigrafia al web. C’è poi un problema legato alla scarsità di patrimoni visuali cui far riferimento nel momento in cui i marchi si affacciano su un mercato che – ci si perdoni la banalità – sta diventando globale non solo per le grandi imprese. Lettere, iconografie classiche (leoni, aquile ecc), forme geometriche rappresentano un patrimonio limitato, in termini di numeri, che può di volta in volta essere rivitalizzato da archivi provenienti da altre culture figurative forti (ben poche, in realtà), da segni locali, da pertinenze ai settori merceologici, o anche da stilemi formali divenuti apparato iconografico. (…)

Dall’occhio del consumatore all’anima dell’azienda

Giovanni Brunazzi

(…) L’uso di un segno grafico con valore simbolico è molto antico ed altrettanto antica è l’applicazione dello stesso a tutta una serie di oggetti, luoghi, immagini tra loro connessi dalla comune destinazione funzionale. Dai fasci littori dell’antica Roma, alle insegne militari – con tutto il loro carico di valori emblematici – dalla croce cristiana alle bluse degli operai della Cina maoista, la Storia ci fornisce innumerevoli esempi di applicazioni e declinazioni di ciò che oggi definiamo comunemente come immagine coordinata. In ambito strettamente merceologico e commerciale, il concetto di “immagine coordinata” è in realtà più preciso e fa riferimento alla comunicazione integrata messa in atto volontariamente da un’azienda, secondo un preciso progetto strategico, allo scopo di creare o consolidare l’immagine desiderata. Per un’organizzazione aziendale, tenere sotto controllo l’immagine significa dunque fornire ai diversi destinatari del messaggio un’idea uniforme e non distorta, magari a causa di comportamenti involontari, della propria reale identità. (…)